Non mi ricordo dove ho messo gli occhiali. Mi capita sempre più spesso. Vorrei un cosino elettronico come l’antifurto della macchina, che pigio il pulsante e gli occhiali fanno bip segnalandomi dove diavolo li ho lasciati.
Ma non è su questo tipo di memoria – che mi sta salutando – che butto giù questo articoletto, bensì sulla memoria di tutti. Che si chiama Storia. E sul fatto che ci sta lasciando anche lei. Attacco da un articolo davvero interessante di John Lanchester per London Review of Books, The robots are coming, che ho letto in italiano su Internazionale. Dice Lanchester: “Siamo già abituati all’idea che il compito degli operai alla catena di montaggio di una fabbrica prima o poi sarà completamente automatizzato, ma siamo meno abituati a pensare che il lavoro degli impiegati, degli avvocati, degli analisti economici, dei giornalisti o dei bibliotecari possa essere svolto da un automa. In realtà è possibile, e in molti casi sta già succedendo. Average is over di Tyler Cowen descrive un futuro in cui tutti i guadagni finiranno nelle tasche di chi rientra nella fascia più alta della distribuzione del reddito, soprattutto chi è bravo a interagire con le macchine intelligenti. E ora cosa succederà? La risposta dipende da cosa pensiamo della Storia. Pensiamo che le lezioni della Storia siano utili per l’economia? Agli autori dei libri che ho citato interessano queste lezioni, ma non tutti gli economisti sono come loro. Anzi, molti diffidano fortemente della Storia. Secondo me perché vorrebbero essere considerati scienziati. Se l’economia è una scienza, le lezioni della Storia ‘fanno già parte dell’equazione’, sono incorporate nei modelli matematici. Non credo sia una sciocchezza dire che la riluttanza a imparare dalla Storia è uno dei motivi per cui l’economia non riesce a prevedere il futuro.” La Storia – la memoria di tutti. Io, a memoria, riesco ad andare all’indietro fino agli anni delle elementari; di prima ho pochi ricordi sporadici, e comunque non anteriori ai miei quattro anni – suppongo. Prima ancora niente, se non qualche ‘falso’ ricordo che in realtà è la mia introiezione di flash che qualche adulto mi avrà raccontato più tardi, comunque quand’ero ancora piccolo, e che non distinguo più dall’effettiva memoria ‘vissuta’. So che esistono tecniche – non so quanto affidabili – per far riemergere ricordi personali del primissimo periodo, neonatali o addirittura prenatali, e non posso dire che la cosa suoni priva d’interesse. Però ora voglio dire un’altra roba: che capita qualcosa di sublime e terrificante insieme, nel nostro animo, se ci fermiamo davvero a pensare – profondamente – che c’è un’infinità di giorni che hanno preceduto quello della nostra comparsa nella vita; un’infinità di fatti sono accaduti prima che ognuno di noi esistesse. E ovviamente è terrificante e sublime pensare sul serio che ci saranno infiniti giorni e fatti dopo che avremo smesso di esistere. La Storia. I ‘pensatori professionisti’ del Genere Umano – che poi sono i filosofi – non si sono sottratti dal misurarsi col tema. Ne cito uno relativamente recente, tra tutti – perché mi è caro e perché quel che dice mi serve allo sviluppo del ragionamento qui. “C'è un'intesa segreta tra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla Terra.” – dice Walter Benjamin nella II Tesi delle sue celebri di Filosofia della Storia, ultima opera, del 1940. Dice – se intendo bene – che il mondo a lui contemporaneo è abitato da una (parte della) Umanità alla quale tutto il passato guarda con la speranza, e fondata aspettativa, che porti a compimento il cammino di emancipazione della Civiltà tutta (emancipazione dallo sfruttamento, della violenza, dalla paura, dall'alienazione), e avvii quello ancor più complesso di liberazione della Specie, delle Specie, della Vita in generale (liberazione dalla sofferenza). E' una concettualizzazione della lotta di classe che introduce elementi messianici nel Materialismo Storico e Dialettico. Oggi, credo io, nella nostra società defraudata ampiamente di ogni aspetto spirituale (salvo il sopravvivere, e anzi l'alimentarsi da parte del Potere, del marketing delle superstizioni – monoteiste, pagane o atee che siano), la tesi di Benjamin può far sorridere; ma d'altronde è lo stesso concetto di cammino storico purchessia ad esser fuori corso, in un tempo al quale il senso della Storia è stato intenzionalmente essiccato – dal Potere, di nuovo – perché insieme alla coscienza del passato morisse anche una visione alternativa del futuro. Però nel 1940, a un intelletto potente come il suo – del Benjamin uomo, che pure doveva scappare dall'Europa resa campo di sterminio dall'abominio nazifascista, ma che vi moriva suicida di lì a poco nel tentativo ormai fallito – non fu impossibile guardare oltre un presente nero quanti altri mai; perché il XX Secolo, a vederlo allora, non era solo Hitler ed Henry Ford ma anche Lenin e Gandhi. “Noi siamo stati attesi sulla Terra”, è – credo – la più bella dichiarazione d'amore di un uomo alla propria generazione. Ripasso all’articolo di Lanchester, poi tornerò ancora a Benjamin – consentitemi questo ‘zapping ideale’, vedrete che ha senso. “Dal 1979 il reddito del lavoratore statunitense medio non è quasi aumentato (anzi, dal 1999 è diminuito), mentre la produttività ha continuato a salire abbastanza regolarmente. Questo vuol dire che la quantità di lavoro svolta in un’ora è aumentata, ma il salario no. Quindi è il capitale che ha tratto maggior profitto dalla produttività, non la forza lavoro.” Ancora: “In un trimestre la Apple ha guadagnato più di qualsiasi altra azienda della Storia: 74.6 miliardi di dollari di fatturato e 18 miliardi di profitti. Il suo amministratore delegato, Tim Cook, ha dichiarato che queste cifre sono ‘difficili da comprendere’. Ha ragione. È difficile immaginare che l’azienda abbia venduto 34.000 iPhone all’ora per tre mesi. Ma dovremmo anche riflettere sulle implicazioni di questo dato. Se i profitti crescono a questo ritmo per tutto l’anno, in dodici mesi potrebbero raggiungere quota 88.9 miliardi di euro. Nel 1960 l’azienda più redditizia della principale economia mondiale era la General Motors. Fatte le debite proporzioni, quell’anno la casa automobilistica statunitense avrebbe guadagnato 7.6 miliardi di dollari. Ma la General Motors dava lavoro a 600.000 persone, mentre l’azienda più redditizia di oggi ne impiega solo 92.600. Se allora 600.000 dipendenti generavano 7.6 miliardi di profitti e ora 92.600 ne generano 88.9, significa che la redditività per dipendente è aumentata di circa 77 volte. Il capitale non sta semplicemente trionfando sul lavoro, oggi non c’è proprio storia. Se fosse un incontro di boxe, l’arbitro lo interromperebbe.” Capite? Allora rispetto alla visione di Benjamin che cosa è andato storto? E' vero, la stragrande maggioranza degli umani era attesa alla prova della Storia. Dovevamo emanciparci noi, come classe, ed emancipare l'Umanità; dovevamo liberarci noi, come specie, e liberare i viventi tutti. Ma anche la minoranza del privilegio, della proprietà e del patrimonio, sapeva leggere la Storia – e ci aspettava al varco. Loro si sono preparati meglio di noi. Anzi, noi quasi per niente. Siamo stati attesi sulla Terra. Ma appena dietro l'angolo, quei briganti ci hanno accoppato. E se non siamo morti – tutti – quanto meno tutti abbiamo preso una tale botta in testa che siamo affetti da severa amnesia post-traumatica: non ricordiamo niente, a malapena sappiamo chi siamo. Qualche sera fa su RaiStoria ho visto un bellissimo documentario, prodotto dalla BBC, sulle origini della Civiltà. La parte più interessante, perché meno nota, era quella sui ritrovamenti – in territorio oggi turco – di Çatal Hüyük, forse il primo insediamento ‘cittadino’ dell’Umanità, il cui strato più remoto risale a 9500 anni fa, e di Göbekli Tepe (sempre in Turchia, al confine con la Siria) che vanta il più antico tempio mai scoperto, la cui prima pietra fu posta addirittura 11500 anni fa. La piramide di Cheope – per fare un confronto – ha ‘appena’ 4600 anni! Poi, nel documentario, scorrevano con l’avanzare dei millenni e dei secoli i nomi della Storia arcaica che tutti abbiamo imparato a conoscere (e amare) dalla scuola: Ur, Babilonia, Akkad, Mari, Sumer, Ninive, Aleppo; nomi che oggi, disastrosamente, ricorrono nelle cronache come località archeologiche di ricchezza inestimabile in ostaggio a una guerra ‘sporca’, sghemba e incomprensibile, nei territori attuali dell’Iraq e della Siria, e di ciò che dovrebbe essere (se mai lo sarà) il Kurdistan. Che grande pena! Mi è venuto in mente, tuttavia, che lo share di quella splendida trasmissione divulgativa sull’alba della Civiltà raggiungeva forse percentuali ‘da prefisso telefonico’, mentre di sicuro su un qualsiasi altro canale, ‘in chiaro’ o a pagamento, oppure in diffusione streaming, la stragrande maggioranza dei miei compatrioti stava gustandosi un qualunque prodotto confezionato da e per la Civiltà dei consumi contemporanea: una serie TV, un talent-show, un quiz a premi, un reality, un talk. Morale: la stragrande maggioranza dei miei contemporanei non ha alcuna contezza di ciò che stiamo davvero perdendo, come Umanità, a causa della distruzione di tante vestigia storiche e proto-storiche, perché la moda presente gli rende quasi invisibili gli strumenti di conoscenza (sto per dire: di consuetudine) necessari ad aver chiara la dimensione della loro importanza, bellezza, unicità. La mia gente, insomma, concretizzando definitivamente la triste profezia di Oscar Wilde, conosce forse il prezzo di ogni cosa ma di sicuro non conosce il valore di alcunché. Allora tra recidere a martellate le radici della nostra storia umana, consolidate in una statua scolpita o in una tavoletta incisa millenni fa, e reciderle per l’indifferenza conformista e la nevrotica superficialità alle quali ci condanna da una generazione (almeno) il sistema di vita occidentale, la differenza sta sì nella brutalità manifesta e intenzionale che il primo atto mette in bella vista (a vantaggio dei media ‘da consumo’ – anche questo), ma non nell’effetto di disumanizzazione di massa che producono entrambi – a pensarci bene. La ‘barba jihad’ e la ‘barba hipster’ – sto dicendo, con consapevole azzardo – sono tra loro più vicine di quanto sembri. Ma ambedue lontanissime dalla dolce barba del Che, che ci indicava la strada dell’emancipazione, della liberazione, del compimento della nostra Storia. Vado ancora più indietro, nella ‘memoria di tutti’ – più indietro della prima pietra posta a Göbekli Tepe: 60.000 anni ancor prima. La più grande catastrofe naturale da quando l’Homo Sapiens è comparso sulla Terra, avvenne circa settanta millenni or sono: l’esplosione di un enorme vulcano che si trovava presso l’attuale lago Toba, nell’isola che oggi chiamiamo Sumatra. Le prove del cataclisma sono sia geologiche (lo studio approfondito della caldera di Toba e anche vari carotaggi del ghiaccio della Groenlandia), che genetiche (studiando i geni umani si è giunti alla conclusione che tutta la popolazione attuale del pianeta deriva da un gruppo ridotto di umani che visse appunto circa 70.000 anni fa). Circa 100.000 anni or sono era iniziata la lenta migrazione della nostra specie, che la portò – ancor più di quanto aveva già fatto l’Homo Erectus nei due milioni di anni precedenti – a diffondersi su tutto il pianeta (Antartide esclusa). Oltre all’espansione infra-africana, che portò alla differenziazione dei ceppi linguistici arcaici, ci fu la fuoriuscita di gruppi di Sapiens dal continente-madre: per il Vicino Oriente, e poi da lì – biforcandosi il cammino – o a NordOvest verso l’Europa o ancora più a Est dilagando in tutta l’Asia (dalla quale più tardi Sapiens sarebbe passato per il Nord nelle Americhe, e per il Sud in Oceania). La nostra specie era, all’epoca, la sola del genere Homo? No. Nella parte di mondo che oggi chiamiamo Cina c’era ancora qualche Erectus, e un suo ‘cugino’ dalle caratteristiche minute – l’Homo Floresiensis – si trovava nell’isola indonesiana che gli dà il nome: Flores. Ora, 70.000 anni fa quel vulcano a Sumatra esplose con la forza dirompente di mille atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Circa cento milioni di tonnellate di acido solforico furono spinti verso l’atmosfera, e ricaddero distruggendo la vita vegetale in un grande raggio intorno. Si calcola che un’immensa nube cinerea ricoprì l’intero pianeta per circa sei anni impedendo ai raggi solari di riscaldare a dovere la Terra, la cui temperatura media si abbassò di almeno 10° gradi. La ricaduta delle ceneri fu anch’essa distruttiva per piante e animali: in certi punti dell’India lo strato di scorie vulcaniche raggiunse i sei metri sul suolo. La ‘popolazione mondiale’ – la quantità di uomini e donne dell’epoca – si ridusse a non più di 5.000 unità. Praticamente tutti Sapiens. E’ a questi 5.000, distribuiti perlopiù tra Africa, Medio Oriente e India, che noi 7.000.000.000 di umani – quanti siamo adesso – dobbiamo guardare come ai nostri ‘nonni’. Anzi di più, perché facendo le proporzioni non è possibile che da quatto nonni (tutti veniamo da quattro nonni) si generino 1.400.000 nipoti, tutti cugini fra loro. Quindi il rapporto di ‘parentela’ di ciascun umano oggi presente sulla Terra con qualunque altro è centomila volte più stretto e intimo del rapporto, di cuginanza di primo grado, che abbiamo con i figli dei fratelli dei nostri genitori: io che faccio parte dei sette miliardi che discendono da quei cinquemila sopravvissuti, sono più che cugino (e anche più che fratello) di ogni altro umano vivente! Se noi oggi non avessimo un evidente problema con la Storia, questo lo sapremmo con la mente e lo sentiremmo nel cuore. E ci comporteremmo di conseguenza. (Ma ci torno alla fine.) Ora ripenso al grande Pier Paolo, a quanta rabbia deve aver inghiottito ai suoi tempi – lui sì davvero solitario a capire e a dire la verità scandalosa. Ecco la scena de La Ricotta, cortometraggio di Pasolini appunto, dove Orson Welles che fa il regista di un film sulla Passione (doppiato da Giorgio Bassani, quello dei Finzi-Contini) prende di petto l'italiano qualunque, qui nelle vesti di un giornalista petulante come una trasmissione pomeridiana. Il ciak ci parla di Storia e di memoria, tanto per cambiare. “Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?” “Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.” “Che cosa ne pensa della società italiana?” “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa.” “Che cosa ne pensa della morte?” “Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione. Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d'altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della DopoStoria, cui io assisto, per privilegio d'anagrafe, dall'orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più. Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista. Lei non esiste... Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione... e il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale... Addio." Un uomo medio è un mostro. O uno malato profondamente. Sempre per via di quella botta in testa che ci hanno rifilato dietro l’angolo della Storia. Malato al punto che non saprei più dire qual è l’impulso che lo muove, tra quelli classici e tipici della nostra specie. Infatti, chi l'ha detto che l'istinto di sopravvivenza è la molla più potente? Come si spiega che miliardi di esseri umani fanno, sembra liberamente, proprio tutto quello che li porterà a morte precoce? Allora forse l'impulso più forte di tutti è l'amore filiale? Neanche per idea, visto che i miliardi di cui sopra fanno quello che fanno andando incontro non solo alla propria rovina, ma pure a quella di chi hanno messo al mondo! E' il principio di piacere, allora? Macché! Guardatevi intorno, e pure dentro, e ditemi di quanti umani si possa dire che godono piacevolmente gli effetti delle proprie decisioni e azioni. La volontà di potenza? Non scherziamo! Di tutte le persone sulla Terra quante sono quelle che hanno un briciolo di potenza reale da spendere, o anche solo l'onesta aspettativa di diventare un giorno dominanti dopo una vita passata sotto il dominio di qualcuno? E' il sesso? E lo chiamate sesso quello che fa, o che vorrebbe fare, la stragrande maggioranza della gente – mediato com'è da una catena di condizionamenti imposti dalla sensualità decisa a tavolino da chi crea immagine per il consumo o dal romanticismo plastificato del comune senso del pudore o dalle finte infrazioni spacciate per libertà da un altro mercato apposito? Sono i soldi? Ma guardate che fine sta facendo il mondo in cui l'obiettivo di far più soldi possibile ci è stato inculcato in testa! No, rientriamo nel primo e nel secondo caso: se tutto quel che facciamo è per far soldi, per noi e i nostri figli, viste le conseguenze stiamo contraddicendo in pieno l'istinto di sopravvivenza e quello riproduttivo. E' il principio di realtà, allora? Cioè gli umani penserebbero e farebbero tutto in base a qualcosa che magari non gli torna utile nell'immediato, ma che riconosciute certe condizioni della realtà intorno prevedono che darà buon frutto più in là? E voi conoscete tanta gente davvero capace di fare una previsione razionale che vada oltre un anno da oggi, ma razionale sul serio, e poi di orientarsi fedelmente lungo quella previsione? Io no. Non ne conosco nessuno – me compreso. Qua tutti vivono a casaccio. Quindi? Quindi se gli umani non sono mossi davvero né dal principio di realtà né dalla sete di guadagno né dalla voglia di sesso né dalla volontà di potenza né dal principio di piacere né dall'istinto a proteggere la prole né da quello di sopravvivenza, semplicemente sono pazzi. Ma pazzi come nessun altro animale è mai stato sulla faccia della Terra. Dev'essere che la comparsa del pensiero riflessivo, dell'autocoscienza, della capacità di astrazione simbolica, del linguaggio organizzato e dell'immaginazione strategica – tutte cose che pare abbiamo solo noi umani, e che in pochissimo tempo la nostra specie ha potenziato incalcolabilmente con la civiltà, la cultura e la tecnologia –, ha fatto fare tilt al nostro cervellino. E' per forza così. Infatti, i pochissimi in tutta la Storia che non solo se ne sono accorti (questo non è difficile, se lo vedo pure io) ma si sono messi in testa di cambiare lo stato di cose in generale – un po' per infinita compassione, ma pure per salvarsi la pellaccia: non è mica tanto sano stare in mezzo a dei pazzi completi –, ebbene se ci fate caso hanno cercato (e cercano) anzitutto di farci rinsavire tutti. Ma non tutti insieme – sarebbe impossibile in partenza, sarebbe folle pure questo. No: farci rinsavire a raggiera, a partire da una minoranza di umani che di volta in volta – secondo il contesto storico, oggettivo – potrebbe avere anche una sola probabilità in più di non esser perduta ormai del tutto. Certo, non è una scommessa facile da vincere – e nemmeno sembra chissà che strategia sopraffina. Ma quando stai affogando ti attacchi a tutto, no? Ora, per una serie di informazioni, valutazioni e sperimentazioni lunghe e complicate – che riportare qui fuor di semplice battuta, seppure io ne fossi capace, presupporrebbe il paradosso che la maggior parte di chi legge non sia folle –, nel contesto storico presente da un paio di secoli, prima nella sola Europa poi nell'Occidente in senso lato e ormai in tutto il mondo, quella minoranza (per modo di dire: sono comunque centinaia di milioni) su cui val la pena scommettere che rinsavisca, è la classe lavoratrice cosciente di sé in quanto classe: il proletariato, lui, di Marx ed Engels. Quindi: non una scuola di filosofi né un'assemblea di fedeli né l'avanguardia di un po' di spiriti emancipati da sé a ranghi sciolti, ma i lavoratori che comprendono la propria condizione e agiscono per liberarla. Io questo lo so per via di studio, osservazione ed esperienza, ma qui lo lascio in termini di fiducia sulla parola o poco più. Scusatemi. Comunque chi vuol dare una mano all'impresa è pregato di iscriversi in cuor suo al club dei costruttori del socialismo. Sentiamo un’ultima volta John Lanchester dal pezzo che ho già citato: “Molti economisti moderni ritengono che l’unica cosa che conta siano le forze economiche. Anche i politici hanno cominciato a pensarla così, almeno nel mondo occidentale: le teorie economiche sono diventate verità indiscutibili. L’idea che un cambiamento economico sia così distruttivo per l’ordine sociale da spingere la comunità a ribellarsi sembra scomparsa dall’universo del possibile. Lo scenario che ci presentano, e che ci fanno vedere come inevitabile, è quello di una distopia ipercapitalistica. C’è il capitale, che se la cava meglio del solito, ci sono i robot, che fanno tutto il lavoro, e c’è la grande massa dell’Umanità, che non fa quasi niente, ma si diverte a giocare con i suoi gadget (anche se, in mancanza di lavoro, c’è da chiedersi chi si potrà permettere di comprarli). Ma esiste anche un’alternativa nella quale la proprietà e il controllo delle macchine sono separati dal capitale nella sua forma attuale. I robot liberano buona parte dell’Umanità dal lavoro e tutti ne traggono vantaggio. Gli uomini non devono più andare in fabbrica, scendere nelle miniere, pulire i gabinetti o guidare i camion per migliaia di chilometri, ma possono ideare coreografie, disegnare tessuti, curare giardini, raccontare storie, inventare cose e creare un nuovo universo di bisogni. A me sembra che l’unico modo in cui quel mondo può funzionare è con forme alternative di proprietà. L’unico motivo per pensare che questo mondo migliore si possa realizzare è che forse il futuro distopico del capitalismo combinato con i robot è troppo deprimente per essere politicamente proponibile. Questo futuro alternativo sarebbe il mondo sognato da William Morris, per esempio, pieno di esseri umani impegnati in attività gratificanti e ragionevolmente remunerate (leggete Notizie da nessun luogo, il suo romanzo del 1890 meravigliosamente marxista). Il fatto di avere davanti un futuro che potrebbe somigliare a una distopia ipercapitalistica o invece a un paradiso socialista, e che nessuno parli della seconda possibilità, la dice lunga sul momento che stiamo vivendo.” Concludo, come promesso. Io faccio parte dei sette miliardi oggi viventi che discendono da quei cinquemila superstiti di 70.000 anni fa, e pertanto ho un fratello in ogni altro essere umani. Però continuiamo a veder morire gente nel Mediterraneo. Chi piange, chi dice di rifare Mare Nostrum; e chi dice di affondare le barche prima che le riempiano. Io dico che c'è un solo modo per liberare quei disperati, sia dal mare che dagli scafisti: andare là, prenderli tutti e portarli in salvo in Europa! Non si fa così con i terremotati, con i superstiti di tsunami o minacciati da uragani? O aspettiamo forse che si tirino fuori da soli dalle macerie o dal fango? Che sia un miracolo a evacuarli in tempo? I migranti di qualunque provenienza sono i terremotati della Storia, sono sotto l'uragano della guerra, subiscono lo tsunami della schiavitù, stanno tra i rottami del naufragio della Civiltà. Quindi andiamo là, dovunque li ammassino – e anche prima: dove arrancano tra deserti e montagne –, prendiamoli e salviamoli tutti! L'organizzazione pratica degli arrivi e delle permanenze, di un futuro possibile per tutti quegli esseri umani sottratti alla morte ci metterà alla prova, certo. E così forse qualcuno potrà perdonarci secoli interi di sfruttamento del Genere Umano. Se l'Europa ha mezzi e soldi da spendere, li spenda così. Le portaerei servano a questo. Se le sinistre d'Europa vogliono qualcosa da dire, dicano questo. A voce alta, ora. Let's save them all! Questa sia la campagna per una svolta epocale. In cuor vostro sapete che è così. “Noi siamo stati attesi sulla Terra”, aveva l’immensità d’animo di scrivere Walter Benjamin nel 1940 – affacciato sull’Atlantico con i mitra nazisti spianati dietro la schiena. Forse siamo stati attesi per compiere miracoli di questo tipo. Riprendiamoci dal trauma, ricordiamoci chi siamo – e facciamo ciò che ci spetta in quanto uomini e donne. Se ne saremo capaci, confido che poi a pensare all’infinità del tempo imperturbabile prima e dopo la mia personale – quasi istantanea – esistenza, la bilancia tra terrificante e sublime penda un poco meno sul primo piatto. Sempre di meno. E ora mi rimetto a cercare gli occhiali. |