Da giovane potevo sostenere fino in fondo la descrizione impietosa del lungo e terribile assedio di Leningrado. Ci ho dato perfino un esame.
Da giovane potevo leggere tutti i Racconti della Kolyma. Da giovane ho visto Salò o le 120 giornate di Sodoma, e i documentari sui campi di Pol Pot, e ho letto i reportage sui massacri al machete tra Hutu e Tutsi. Altro esame. Da giovane ho visitato Dachau. Ora non potrei più. Non posso, non ci riesco; a meno di accettare la prevedibile prostrazione morale, prolungata depressione rancorosa, e la sofferenza quasi fisica che so per certo me ne deriverebbe adesso (e da un po'), mentre prima mi pare non ne fossi altrettanto soggetto. Perché questo cambiamento? Sono diventato sensibile solo ora? A memoria mi pare che così come lo sono oggi, ammesso che lo sia, sono sempre stato. Allora sarà che invecchiando si diventa delle mammole dalla lacrima in tasca? Forse. Ma comunque, perché? Oggi al cospetto del dolore ingiustamente patito e dunque arbitrariamente arrecato, provo tanta rabbia. Ma anche da giovane la provavo. Sono in grave disagio; ma pure prima lo ero. Compatisco profondamente; così come sempre, da che mi ricordo. E quindi cos'è? Non sarà forse questo?...Che da giovane la parte maggioritaria di me, della mia mente, della mia anima, del mio cuore, delle mie ossa, credeva che per quanto male avessero fatto fino ad allora tra gli uomini (e non solo) arbitrio e ingiustizia, ignoranza e crudeltà, sarebbe però giunto un tempo storico di riscatto, di luce, di valore, di fratellanza, di empatia generale. Lo credevo per certo, come chi seguendo le religioni messianiche ha fede nelle rispettive versioni della salvazione universale (purché abbia lo spirito abbastanza ampio da confidare in ciò, e non solo nel paradiso proprio e di chi gli sia caro). E dunque, in questo credendo, io sì soffrivo per la fame indicibile di Leningrado, sì tremavo di rabbia per le angherie dei gerarchi ai fanciulli della Bassa, mi avvilivo attonito davanti al male assoluto di lager e di gulag e di carneficine interetniche e interspecifiche, purtuttavia l'Umanità un dì vittoriosa mi soccorreva da un punto del futuro e consolava solidamente quel mio affacciarmi sugli abissi passati e presenti. Da giovane. Però poi si invecchia. Ma non già perché passino gli anni (ed è vero: passano), bensì perché passa la credulità nel lieto fine. O quantomeno, essa passa in minoranza nella mente, nell'anima, nel cuore e nelle ossa: non senti più quell'epico soccorso dall'avvenire, e così gli strepiti del dolore altrui e gli aculei della cattiveria che lo causa te li prendi in piena faccia senza filtri o medicamenti di sorta. Allora crolli. Perciò, per me, passata l'età mia nòva (e già da un pezzo in corso questa seminuova) meglio starne alla larga dalle rappresentazioni, documentali storiografiche ovvero artistiche, letterarie. Mica facile, peraltro, in questa pornografia del fallimento! Starne alla larga, o accettare nuovi saperi in materia solo se necessario e sempre con pudore: scoprirsi avvezzi al fetore della diffusa cattiveria è indizio che ci si sta perdendo in proprio. Lo sgomento è bastione. Anche perché la pluridecennale cognizione del male tra senzienti ha già prodotto una specie di benefico contrappasso: io adesso sono più mite, e insieme più vigile, che non in gioventù. Almeno mi pare. Cioè: la perdita del lieto fine escatologico, insieme allo svantaggio di quello strazio inconsolato, è come se però mi avesse fatto guadagnare un'assunzione di responsabilità, una dignità e insieme la ventura di sentirle nelle mie stesse fibre; se non si affaccia più dal futuro, voglio dire, la salvazione universale, allora l'unica, per non impazzire, è fare un minimo di salvezza qui e ora, sghembo e perituro, al centro dell'inferno in cui è scagliato ogni senziente desto! Essere mite, essere vigile, essere sollecito, essere ampio, essere in ascolto e disporsi all'azione, chiedere scusa, fare ammenda, ringraziare, prendere e dare coraggio... La cultura antropologica, anche la più dura, tesaurizzata quando ci si riusciva senza sbriciolarsi in lacrime, non doveva far diventare così? Be', sembra l'abbia fatto; beninteso, fortuitamente! Insomma: c'è un grumo di resistenza, qui. Siamo, noi vecchi così, delle temerarie pietre di inciampo sotto gli anfibi chiodati del male metafisico in marcia. Siamo i matti. E piangiamo per ciò che i giovani sostengono virilmente; per quel che addirittura eccita i sani, ossia i demonici fatti e finiti! Ma, scherzi a parte, non serve poi a molto la nostra vigilanza; tanto meno la nostra mitezza conquistata. Volevo dir questo, alla fine. Nel mio caso particolare, forse serve giusto a qualche animale tecnicamente commestibile dall'uomo, dacché son diventato vegetariano suppongo proprio per quell'urlo ormai udibile senza sconti. Allora è o no un microscopico happy end? E non mi sono commosso neppure un po', a buttarlo giù! |